L’attività di mediazione e la necessaria conoscibilità dell’opera svolta dal mediatore - Núm. 10, Junio 2010 - Revista Via Inveniendi et Iudicandi - Libros y Revistas - VLEX 215755845

L’attività di mediazione e la necessaria conoscibilità dell’opera svolta dal mediatore

AutorMaria Cecilia Polo
I Il caso

Con la sentenza del 15.03.2007, n. 6004, la Suprema Corte italiana affronta l'annoso quesito che ha diviso in dottrina i sostenitori della tesi negoziale e non negoziale della mediazione. Il thema decidendi riguarda la necessità, ai fini del diritto alla provvigione, che le parti siano messe in grado di conoscere l'opera di intermediazione prestata dal mediatore.

Questa in sintesi la vicenda.

Un soggetto sostiene di aver svolto un'attività di mediazione, rendendo possibile ad una Banca l'acquisto di due pacchetti azionari, detenuti rispettivamente da una società e da un privato, all'interno di un'altra Banca. La cessione dei pacchetti azionari in questione consentiva alla Banca acquirente di ottenere il capitale di controllo dell'altro Istituto di Credito. Il presunto mediatore cita in giudizio la Banca (acquirente) e la società (venditrice) delle azioni per il riconoscimento del suo diritto alla provvigione. La domanda viene respinta in primo ed in secondo grado non risultando alcuna prova che le parti convenute fossero a conoscenza dell'opera di intermediazione svolta in loro favore. I giudici di merito sostengono che - seppure l'intervento del mediatore sia stato determinante nell'acquisto del capitale di controllo da parte della Banca - è in ogni caso necessario che il mediatore fornisca la prova che le parti fossero a conoscenza dell'opera di intermediazione da lui svolta.

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, ripercorre i temi caldi della mediazione e prende le distanze sia dalla tesi contrattualistica che dalla tesi non negoziale per soffermarsi sulla definizione dell'attività di mediazione e sul tema della necessaria conoscibilità di detta attività da parte dei soggetti interessati alla conclusione dell'affare.

Il tema della consapevolezza dei soggetti intermediati è stato al centro del dibattito dottrinale ed ha costituito uno dei capisaldi della teoria contrattuale il cui obiettivo primario è quello di evitare il perfezionarsi di un contratto non voluto, ancorandolo, se non a dichiarazioni espresse, almeno a comportamenti concludenti da cui desumere la volontà delle parti di avvalersi dell'opera del mediatore.

La Corte, nell'individuare i caratteri essenziali dell'attività di mediazione, sembra prendere il meglio delle due teorie che vedono la mediazione alternativamente come accordo contrattuale oppure come fonte legale di obblighi e di diritti.

Nella decisione in commento si sostiene che l'attività di mediazione debba consistere da un lato, nell'incontro delle volontà dei soggetti interessati, cioè del mediatore e di coloro che richiedono la sua intermediazione, e dall'altro nell'utile messa in contatto delle parti, ossia del/i soggetti intermediati e del terzo individuato dal mediatore per la conclusione dell'affare.

Ebbene, il primo elemento, i.e. l'incontro delle volontà delle parti, sembra richiamare le affermazioni della tesi contrattuale, secondo la quale l'incontro delle volontà può risultare sia da dichiarazioni esplicite che da un'accettazione tacita dell'opera del mediatore.

Il secondo elemento consistente nell'utile messa in contatto richiama invece la teoria non negoziale, riconoscibile nel riferimento, espressamente effettuato dalla Corte, alla mediazione di contratto ed al carattere di atipicità della mediazione.

Sulla base della ricostruzione degli elementi minimi della fattispecie mediatizia la Corte afferma che il rapporto di mediazione non può configurarsi - e non sorge quindi il diritto alla provvigione - nel caso in cui le parti, pur avendo concluso l'affare grazie all'attività del mediatore, non siano state messe in grado di conoscere (ed abbiano quindi potuto ignorare senza colpa) l'opera di intermediazione svolta da quest'ultimo.

Nel caso che ci occupa, la Corte esclude il rapporto di mediazione mancando uno dei due elementi essenziali dell'attività di mediazione, i.e. la consapevolezza delle parti coinvolte nell'affare circa l'attività di intermediazione prestata in loro favore.

II Le questioni
1. Natura giuridica del rapporto di mediazione

La sentenza della suprema Corte di Cassazione, III sez., del 15.03.2007, n. 6004 offre lo spunto per ritornare sul tema della natura giuridica della mediazione in merito al quale la Sentenza in commento apparentemente non prende posizione, preferendo soffermarsi ad esaminare gli elementi essenziali della fattispecie mediatizia.

Come noto, l'art. 1754 cod. civ. nello stabilire che è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza fornisce la nozione di mediatore ma non una esplicita qualificazione della mediazione come contratto.

Da qui il dibattito dottrinario e giurisprudenziale volto a individuare la ratio della norma e soprattutto il miglior margine di tutela per il mediatore o per le parti dell'affare concluso. Dalla qualificazione della mediazione come accordo contrattuale o come fonte legale di obblighi e di diritti scaturiscono soluzioni diverse sul diritto alla provvigione del mediatore e in generale sulla necessità o meno della consapevolezza, da parte dei destinatari, dell'agire del mediatore.

Le numerose opinioni espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riferimento alla natura della mediazione possono essere ricondotte sostanzialmente a tre diverse concezioni.

In base alla prima, assolutamente dominante in giurisprudenza e abbastanza accreditata in dottrina, la mediazione costituisce sempre un contratto; per la seconda, che oggi appare decisamente in declino, la mediazione darebbe vita necessariamente ad un rapporto di fonte non contrattuale; la terza, che sta acquistando sempre maggiore diffusione in dottrina, riconduce la fattispecie della mediazione, a seconda dei casi concreti, o ad un modello negoziale o ad un schema acontrattuale.

La giurisprudenza, in conformità alla prima delle ricordate teorie, ha affermato che la mediazione ha natura contrattuale, sia nel caso in cui gli interessati conferiscano previamente l'incarico al mediatore, sia nel caso in cui accettino comunque l'attività da lui prestata, in quanto, in entrambi i casi, tale attività trae origine e fondamento dalla volontà dei soggetti, manifestata esplicitamente o implicitamente mediante fatti concludenti.

Le ragioni che stanno alla base della tesi negoziale sono evidenti. Si intendono salvaguardare i principi della libertà e del consenso che conoscerebbero una pesante deroga se chiunque, dimostrando il fatto obiettivo di essersi interposto nella conclusione dell'affare, anche senza incarico delle parti, potesse esigere il pagamento della provvigione. Si vuole, al contempo, garantire l'autonomia dell'interessato, mettendolo in grado di decidere se avvalersi o meno delle prestazioni (a titolo oneroso) che gli vengono offerte, evitando di fargli subire le altrui iniziative non autorizzate.

Nell'ambito della teoria in esame, la struttura del contratto di mediazione è considerata da alcuni di tipo trilaterale, ritenendo necessario il consenso del mediatore e di tutti i possibili contraenti dell'affare, da altri di tipo bilaterale, essendo l'incarico conferito separatamente da ciascuna delle parti.

Il momento del perfezionamento del contratto di mediazione varia a seconda della struttura prescelta. Per i sostenitori della struttura trilaterale, il contratto si perfeziona con la prestazione del consenso da parte dell'ultimo dei contraenti, per gli altri, il perfezionamento del negozio bilaterale avviene con l'accettazione dell'incarico da parte del mediatore o con l'accettazione dell'attività mediatoria da parte dell'interessato all'affare.

La tesi non negoziale esclude completamente la necessità di un conferimento esplicito o tacito dell'incarico e qualifica la mediazione quale fonte legale di diritti e di obblighi. La fattispecie mediatizia troverebbe il suo fondamento in un'attività (non autorizzata) del mediatore, rispetto alla quale sarebbero ammissibili unicamente accordi modificativi ed integrativi della disciplina di legge (ad es. in relazione al diritto alla provvigione, agli obblighi di informazione, al rimborso delle spese e via dicendo). Questo orientamento ritiene che alla base della mediazione vi sia un atto giuridico in senso stretto e non un contratto, per cui la qualifica di mediatore verrebbe acquisita con lo svolgimento di un'attività materiale e non a seguito di un incarico delle parti intermediate. Tale ricostruzione troverebbe fondamento nella volontà del legislatore di tutelare chi in assenza di un preciso incarico, si è adoperato per la conclusione di un contratto stipulato tra due o più parti, assicurandosi così il diritto a percepire la provvigione (DI CHIO, 544, cit. infra, sez. IV).

La maggior differenza tra le due teorie analizzate risiede nella necessità o meno della consapevolezza da parte dell'interessato o degli interessati (all'affare) dell'attività svolta dal mediatore a loro beneficio.

Se in base alla teoria contrattuale la...

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